FIAT-CHRYSLER una fusione da valutare a freddo
I pro, i contro e le cose da definire di una grande operazione.
Automobilisticamente parlando il 2014 apre davvero con il botto. Con l’operazione di acquisizione/fusione Fiat-Chrysler alla quale Sergio Marchionne e John Elkann, A.D e Presidente di Fiat, lavorano da 4 anni e che ora non esitano a definire “un passaggio storico, aspettavamo questo momento dal 2009”.
In realtà ci sono tutti gli elementi perché l’operazione sia considerata tale, altro non fosse che per l’effetto più evidente che provoca nel panorama mondiale dell’industria automobilistica.
Da due piccole realtà sull’orlo del fallimento, quali Fiat e Chrysler erano 4 anni fa, nasce infatti quello che ora si colloca al settimo posto tra i grandi gruppi automobilistici con una capacità produttiva vicina ai 5 milioni di unità all’anno; è preceduto, nell’ordine, da colossi come Toyota, General Motors, Volkswagen, Renault/Nissan, Hyundai/Kia e seguito da Honda, Peugeot/Citroën, Suzuki, BMW, Mercedes, Mazda e Mitsubishi.
Viene in mente una previsione di Gianni Agnelli di molti anni fa quando asseriva che in un futuro non lontano e che forse lui non avrebbe visto ci sarebbero stati al mondo una decina di grandi Gruppi importanti “… e noi ci saremo”. Siamo su questa strada e va dato merito a Marchionne di aver architettato e perseguito con forza questa costruzione partita con il coinvolgimento del Governo USA (prestito puntualmente e rapidamente restituito, ma senza il quale tutto sarebbe stato molto più difficile) e, cosa non certo secondaria per gli attori in scena, di aver arricchito gli azionisti.
Dati i giusti meriti restano aperte alcune domande che aspettano una risposta e la prima prende avvio dal prezzo pagato e da come è stato pagato.
Le cifre ufficiali dicono che l’intesa con Veba, il potente sindacato che deteneva il residuo 41,5% del pacchetto di controllo di Chrysler, è stata trovata su un valore complessivo di 4,35 miliardi di dollari, più o meno la valutazione degli analisti e della stessa Fiat che dovrebbe versare a Veba 3,65 miliardi.
Per il pagamento si è realizzato un altro non piccolo capolavoro di ingegneria finanziaria che ha portato Fiat a pagare “solo” 1,7 miliardi in contanti e questo senza alcun aumento di capitale, ma ricorrendo alla liquidità interna; 1,9 miliardi arrivano invece da un dividendo straordinario che la stessa Chrysler dovrà versare ai suoi azionisti che sono la suddetta Veba e la stessa Fiat che già deteneva il 58,5% delle azioni, destinataria quindi di 1,1 miliardi e questo credito è stato girato al fondo Veba come parte del pagamento.
I rimanenti 700 milioni saranno pagati a rate in 4 anni dalla nuova società che nascerà dalla fusione.
Non sfugge, nel complesso di questa operazione, che è come se Chrysler avesse in pratica “pagato” per vendere il rimanente di se stessa. Non è quindi chiarissimo, come si chiedono alcuni analisti “chi ha effettivamente comprato chi”.
Resta aperta anche la questione del mercato europeo e quella italiana in particolare che non può prescindere dagli utili prodotti da Chrysler in America e dai buoni risultati su altri mercati. Per Fiat aumenta inoltre ulteriormente l’indebitamento già alto e considerato a livello “junk” (spazzatura) dagli analisti.
Tutto dipenderà dunque dagli sviluppi produttivi (che interessano molto anche gli impianti italiani) sia in quantità sia in tipologia di modelli, del nuovo Gruppo e da come saprà conquistare nuovi spazi specie sui mercati emergenti e di più altro profitto, Cina in primo luogo.
Non sarà poi senza effetti la scelta della quotazione in borsa della nuova Società. Se qualche valore ha l’esempio di quanto è avvenuto per Fiat Industrial (Iveco per capirci) che nella fusione con CNH è stata quotata in Olanda (e lì ha la sede), e come suggerisce la logica dell’internazionalizzazione che sta alla base della filosofia di Marchionne, la quotazione di Fiat-Chrysler non potrà che essere Wall Street e le decisioni strategiche, pur sempre targate Marchionne, partire da Detroit.