QUATTRORUOTE DAY: Sergio Marchionne
Si è tenuto oggi il tradizionale appuntamento di Quattroruoteday 2013, organizzato dal principale mensile del settore ed evento che, in pratica dà l’avvio ufficiale all’annata automobilistica italiana.
Più di una volta mi sono trovato a denunciare pubblicamente, anche come presidente dell’Acea, (l’associazione dei costruttori europei) alcune sventurate decisioni – o peggio ancora non-decisioni – prese in sede europea.
L’eccesso di regolamentazione che grava sui costruttori; le crociate irrealistiche sull’idrogeno e sull’elettrico; l’accordo di libero scambio con la Corea del Sud; la scelta di non intervenire a livello comunitario per affrontare il problema della sovraccapacità produttiva… sono solo alcuni esempi di iniziative prive di visione o addirittura dannose per la nostra industria.
Purtroppo, molto spesso, il mondo politico vede la filiera dell’auto più come un bacino di risorse alle quali attingere in tempi d’emergenza che come un settore strategico, fonte di occupazione e di crescita.
Più come una vacca da mungere che come un patrimonio da valorizzare e rafforzare.
A novembre, al Salone di Los Angeles, abbiamo presentato una versione elettrica della 500, che sarà commercializzata nel mercato americano dal secondo trimestre di quest’anno.
Ma è bene sapere che per ogni 500 elettrica venduta perderemo circa 10.000 dollari.
Un affare al limite del masochismo.
E poi sono molto controversi i benefici dei veicoli elettrici per ridurre le emissioni nocive in atmosfera.
Una ricerca svolta dalla Norvegian University of Science and Technology sostiene che le vetture elettriche costituiscono una minaccia ambientale quasi doppia rispetto ai veicoli alimentati a benzina o diesel, in termini di potenziale riscaldamento globale del pianeta.
Relativamente al “Car 2020” il piano europeo recentemente approvato a favore dell’industria europea, l’A.D di Fiat-Chrysler ha detto:
Sui costruttori di auto grava un eccesso di direttive e regolamenti che comporta oneri enormi, perché fa lievitare i costi di produzione, e spesso senza produrre alcun beneficio concreto.
Per quanto riguarda le politiche commerciali - se pure non si possono cancellare i danni già fatti – riconosciamo almeno un cambio di rotta. (il riferimento è agli accordi sottoscritti con i coreani che penalizzano gli europei). Nel documento ci si impegna, prima di concludere qualunque accordo di libero scambio, a valutarne l’impatto sulla competitività dell’industria dell’auto.
A leggerlo oggi, suona quasi come un “mea culpa”.
Le attività collegate ai marchi generalisti in Europa hanno comportato perdite gravissime per Fiat negli ultimi tre anni.
Finora abbiamo usato la sicurezza finanziaria che ci deriva dalle attività extra europee – specialmente negli Stati Uniti e in Brasile – per sostenere e proteggere la nostra presenza in Europa.
Di fronte ad una situazione del genere, le alternative erano soltanto due.
La prima era quella di rimanere totalmente concentrati sulle vetture di massa ed eliminare parte della capacità produttiva in eccesso, chiudendo almeno uno stabilimento in Italia.
La seconda era quella di ripensare in parte il nostro business e sfruttare il patrimonio storico dei nostri marchi premium per bilanciare la nostra offerta di prodotto, puntando sui segmenti più alti e meno affollati. E così facendo, aprirci la strada ai mercati esteri.
La prima è l’alternativa facile, razionale ed economica. E’ la soluzione che alcuni hanno auspicato - specialmente gli analisti finanziari - e molti hanno temuto, per gli effetti sociali che avrebbe provocato.
La seconda, invece, è la scelta coraggiosa, e non priva di rischi.
La Fiat si è aperta all’esterno, in maniera fondamentale e irreversibile.
I nostri mercati di riferimento non sono più soltanto quelli tradizionali - italiano ed europeo - ma sono diventati soprattutto quelli extra-europei.
Abbiamo intenzione di toglierci dalla mischia dei marchi generalisti ed andare a competere nella parte alta e meno affollata del mercato.
Possiamo e dobbiamo fare degli stabilimenti italiani una base di produzione dedicata a veicoli destinati ai mercati di tutto il mondo.
Considerando queste premesse, abbiamo programmato di portare in produzione negli impianti italiani 17 nuovi modelli e 7 aggiornamenti di prodotto da qui al 2016.
Questo ci permetterà di ottenere, già nei prossimi 24 mesi, un significativo aumento dell’attività produttiva, fino ad arrivare, nel giro di tre-quattro anni, ad un pieno impiego di tutti i nostri lavoratori.
Forse per ragioni storiche – o forse perché siamo la più grande impresa industriale privata - la Fiat è considerata ancora da molti lo specchio del Paese.
La verità è che negli ultimi otto anni e mezzo abbiamo creato dalle potenziali ceneri di un costruttore italiano un gruppo automobilistico con un orizzonte globale.
Questa non è più la Fiat che gli italiani ricordano.
Vorrei concludere ora con un’ultima riflessione, che sintetizza le sfide che abbiamo davanti come aziende, come settore e come Paese.
Si dice che ci sono tre tipi di persone.
Ci sono quelli che creano il loro futuro.
Ci sono quelli che stanno seduti a guardare cosa porta il futuro.
E poi ci sono quelli che si chiedono cosa diavolo sia successo.