DELLA VALLE Vs MARCHIONNE
Diretto, violento e irridente nella forma e in gran parte condivisibile nella sostanza.
E’ l’attacco che Diego Della Valle, il patron, tra l’altro, della Tod’s, della Fiorentina Calcio e socio di Montezemolo nella NTV (il treno ad alta velocità Italo), ha portato a Sergio Marchionne ed agli azionisti dopo l’annuncio di Fiat di abbandono del piano “Fabbrica Italia” con il relativo programma di 20 miliardi di investimenti, a causa delle mutate condizioni di mercato intervenute da quando, due anni orsono, il suddetto piano era stato annunciato.
L’Amministratore Delegato del Gruppo e il presidente John Elkan sono stati definiti “inadeguati” e “il vero problema del Gruppo”, non i lavoratori e la situazione di mercato di cui pure si riconosce la gravità. Inarrestabile nelle sue accuse Della Valle ha proseguito affermando testualmente “sono loro che stanno facendo scelte sbagliate o, peggio ancora, le scelte più convenienti per loro e i loro obiettivi senza minimamente curarsi degli interessi e delle necessità del Paese che alla Fiat ha dato tanto, tantissimo, sicuramente troppo”. Sentimento questo che, innegabilmente, è largamente diffuso nell’opinione pubblica.
Affermazioni trancianti che sono sconfinate nel vero e proprio insulto quando A.D. e Presidente di Fiat (già definito “un ragazzino” in occasione dei contrasti sorti nella scelta del nuovo A.D. di RCS che edita il Corriere della Sera) si sono sentiti definire “furbetti cosmopoliti”.
Le accuse di Della Valle hanno poi trovato un sostegno, più o meno voluto, da parte di Cesare Romiti che, pur attribuendo colpe precise anche ai lavoratori e ai sindacati ha dichiarato: “Un’azienda che interrompe la progettazione è destinata a morire” con questo rimproverando a Fiat la mancanza o il congelamento di nuovi modelli che avrebbero potuto contrastare la crisi e tenere su livelli più alti la produzione.
Non si può infatti non ricordare che a fronte del defunto piano Fabbrica Italia che prevedeva addirittura di arrivare in tempi relativamente brevi a produrre 1.600.000 vetture in Italia (da esportare in buona parte) quest’anno dalle linee di montaggio di casa nostra non scenderanno più di 400/450.000 vetture.
La ormai minacciata (più che ventilata) chiusura di uno o più impianti italiani si va dunque sempre più concretizzando e a questo punto la posizione fin qui “neutrale” di un governo tecnico, per sua stessa natura e cultura orientato alle logiche di impresa, non può più essere né comprensibile, nè sostenibile.
In particolare dovrà farsi sentire in modo concreto e chiaro il ministro Corrado Passera che, da banchiere, non ha certo lesinato aiuti alla Fiat.
Quello che i tecnici definiscono “antidirigismo” del Governo si scontrerà ora con le gravi tensioni sociali non solo già aperte, ma con quelle che il nuovo atteggiamento Fiat, sempre più lontano dagli interessi italiani, inevitabilmente provocherà.
Un’ultima considerazione: alla luce delle situazioni che vanno maturando e incidendo in modo - socialmente ed economicamente - sempre più pesante sul mercato e sull’industria dell’auto, non è il caso che, con un minimo di senso di responsabilità, la smettessero di creare problemi “collaterali” all’auto e al suo uso (blocchi, Aree C, sovrastasse illogiche, ecc) quegli Amministratori locali che, per pura ideologia o cattiva informazione, continuano a danneggiare il settore e a limitare la libertà dei cittadini?