Il caso Volkswagen negli USA

Achtung Volkswagen, agli americani, e a nessun altro, non devi dire le bugie.

21 Sep 2015 motorpad.it
Il caso Volkswagen negli USA

La Volkswagen ammette la responsabilità per aver falsificato le norme anti-inquinamento USA.
Ebbene sì. Il Gruppo Volkswagen rischia di dover sborsare oltre 18 miliardi di dollari all’EPA, l’ente per la protezione ambientale statunitense, per aver falsificato le norme anti-inquinamento USA .

Cifra da capogiro, ma di semplice calcolo. La casa tedesca ha venduto, a partire del 2009, 482.000 automobili con motore diesel, omologate entro i limiti americani grazie a un artifizio. L’EPA potrebbe applicare una multa di 37.500 dollari a vettura ed ecco i 18 miliardi da sborsare.

La severità dell’EPA è ben nota. Ci sono già stati i precedenti di altre case punite, ma mai per un ammontare per il quale non basterebbe il deposito di Zio Paperone. Infatti si è sempre trattato di cifre nell’intorno del miliardo di dollari, “più meno che più”.

Volkswagen invece è oggi alla gogna, per il semplice motivo che - difficile capire perché, sarà la formazione calvinista? - l’ottavo comandamento “Non dire falsa testimonianza”, negli USA è saldamente al primo posto.

Volkswagen, infatti, ha celato sulle proprie vetture un software in grado di riconoscere quando l’auto è sottoposta a ciclo di omologazione e, in questa situazione, far sì che il veicolo rimanga sotto i limiti anti-inquinamento stabiliti. E così, nella fattispecie, le emissioni di ossidi di azoto (NOx) erano da 10 a 40 volte inferiori a quelle della guida di tutti i giorni.

Quindi VW ha mentito; il boss dell’azienda Martin Winterkorn lo ha dovuto ammettere e l’America non gliela perdona. Del resto, ricordate? condannò moralmente un Presidente non per le attività “extra istituzionali” con una stagista, ma per il fatto che a tal proposito aveva mentito alla nazione.

Visto con occhio pragmatico, il problema della VW è meno grave di altri precedenti toccati a case concorrenti, che hanno avuto i loro guai (anche gravi, anche con il morto di mezzo) per errori di progettazione, di costruzione o di messa a punto. Ma resta la condanna morale. Ela gravissima perdita di immagine. Per non dire del clamoroso tracollo in Borsa che ha fatto perdere il 20% circa al valore delle azioni VW.

Tutti sorpresi? Nemmeno tanto. Nell’ambiente era ben noto che simili sistemi fossero diffusi, visto che il ciclo di omologazione ha degli step ben noti, che una normale centralina non fa fatica a riconoscere.
Basta prendere ad esempio il periodo di riscaldamento di tot minuti a regime fisso. Un procedimento del genere non l’adotta nessun guidatore e quindi, se avviene, ecco il software commutare su emissioni (e prestazioni) più morigerate.

Oggi parrebbe meno facile adottare certi “escamotage”, ma ricordiamoci che l’indagine risale al 2009, quando l’elettronica di bordo era più elementare.

Al momento, l’ammissione di VW è indiretta, nel senso che la casa ha optato per un atteggiamento collaborativo con l’EPA, scusandosi per avere tradito la fiducia della clientela.
Saggia decisione, visto che c’è in ballo non solo la possibilità di un mega-richiamo su tutte le vetture incriminate del Gruppo, ma anche il rischio che di motori diesel la VW non ne possa più vendere negli USA.

A corollario di tutto ciò aggiungiamo un paio di riflessioni, una “di colore” e l’altra che ci tocca più da vicino.
In primis ci viene naturale chiedersi cosa stia pensando oggi l’emerito ex CEO di VW, dipl. ing. Ferdinand Piech, recentemente esautorato proprio a favore di Winterkorn. Starà ridendo sotto i baffi (che per la verità non possiede) o sta già pensando a una sua riscossa personale?

E infine, “a noi”: possibile che negli USA si possa sollevare un caso da 18 miliardi di dollari per delle soglie di inquinamento da azoto non rispettate, mentre da noi prosegue la pantomima fra i consumi dichiarati e quelli reali, senza che nessun “EPA” nostrano abbia mai niente da ridire? Certi annunci pubblicitari che promettono il giro del mondo con un pieno vengono regolarmente smentite dai test dei giornali più seri e tecnicamente attrezzati a rilevare i consumi reali, ma la cattiva abitudine resta con la scusa che un comune denominatore, usato da tutti i costruttori, è comunque un’indicazione in qualche modo utile. A chi non si sa, ma è così. Speriamo allora che proprio scandali come questo servano a modificare la situazione nella direzione di comunicazioni chiare, comprensibili e non inquinate da acrobazie tecnologiche fuorvianti e sostanzialmente false.  

 

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