Obama vince in automobile
Ha ragione Massimo Gaggi con il suo pezzo sul Corriere della Sera a commento delle elezioni americane.
E’ infatti accertato che la rielezione a Presidente degli Stati Uniti è dipesa in modo decisivo dal voto dell’Ohio, lo Stato dove hanno sede molti impianti delle Case automobilistiche e della componentistica americane, quelle che Obama ha salvato dalla bancarotta.
Non se ne sono scordati gli operai della Chrysler e della General Motors che rischiavano di perdere il lavoro e che ora hanno davanti a sé un futuro ben più sereno. E non hanno dimenticato le parole di Romney, il rivale di Obama che aveva a suo tempo tranquillamente affermato che i due Gruppi in difficoltà potevano benissimo essere lasciati al loro destino e poi che la Jeep era sul punto di essere trasferita in Cina.
In questo modo Obama è in pratica passato all’incasso di una preziosissima cambiale perché quello dell’auto è ora, negli USA, un settore in piena ripresa. Nel particolare sistema elettorale americano hanno di conseguenza assunto un peso fondamentale i 100.000 voti (su oltre 5 milioni) in più che Obama ha raccolto proprio in Ohio e che gli analisti più esperti stimano provenire proprio dalla classe operaia del mondo Automotive.
Paradossalmente in queste combattute elezioni sarebbe stato sufficiente far votare solo lo Stato dell’Ohio e si sarebbero risparmiati miliardi di dollari in campagne elettorali e nella macchina organizzativa.
Parlando seriamente e traendo qualche conclusione per quanto riguarda l’attuale crisi dell’auto che sta squassando l’industria europea e creando tante tensioni anche in Italia, non si può non notare che l’auto è ancora e sempre un elemento fondamentale dell’economia mondiale e che le opportune politiche a sostegno - perennemente assenti in Italia - pagano da tutti i punti di vista.
Chissà se quelli che a Roma si azzannano sulle primarie o si scervellano per succhiare sangue agli automobilisti se ne sono accorti e ne hanno tratto le dovute considerazioni.