Trump e la tassa del 25% sulle auto di importazione
Tra le misure protezionistiche introdotte o minacciate da Trump quella relativa ad un dazio del 25% sulle auto di importazione è quantomai concreta ed è stata anche oggetto di un incontro alla Casa Bianca con i top manager delle principali Case produttrici. Non solo, l’argomento è anche al centro dei negoziati con Bruxelles relativi all’export di acciaio e alluminio, a loro volta colpiti da un dazio che sale dal 2,5 al 25% e che gli USA sarebbero disposti a ritirare se l’Europa rinunciasse alle barriere sulle auto americane notoriamente meno attente alle emissioni. Condizione che naturalmente non può essere accetta.
Tornando all’incontro di Washington Trump non ha mancato di indicare pubblicamente in Marchionne il suo campione preferito indicando il motivo di tanta benevolenza nello spostamento nel Michigan degli impianti FCA del Messico.
Stranamente il Presidente USA si è dimenticato di ricordare che in aiuto al suo dilagante sovranismo protezionistico il CEO di FCA aveva già fatto - eccome - la sua parte salvando e rilanciando la Chrysler, più piccola delle “big three” americane. Nessun accenno neanche agli altri costruttori europei, BMW, Mercedes, VW Group e giapponesi, Toyota, Honda, Nissan, Subaru, ormai da anni inseriti stabilmente nel tessuto produttivo nord-americano con grandi e salutari effetti sull’occupazione ed anche sull’export. Per non dire dei programmi di sviluppo che praticamente anche queste marche hanno già annunciato in terra americana; su tutti.
Quanto agli effetti negativi che il dazio del 25% potrebbe produrre sulle auto europee è evidente che ne soffrirebbero i modelli sportivi e top di gamma tedeschi quali Porsche, BMW, Mercedes, Audi e per quelli di produzione italiana finirebbero nel mirino i modelli di Maserati e i più esclusivi di quelli Alfa Romeo.
Gli automobilisti americani non sanno cosa rischiano di perdere.