Brugola: un nome, una famiglia e un prodotto che conoscono tutti

11 Apr 2025 Mariano Da Ronch
Brugola: un nome, una famiglia e un prodotto che conoscono tutti

Non c’è dubbio: il termine “brugola” è parte dell’immaginario collettivo ed è conosciuto in tutto il mondo. L’aspetto che sorprende sta nel fatto che rappresenta un esempio leggendario in cui un bene si identifica con il nome dell’azienda, che in questo caso è anche il cognome della famiglia che l’ha fondata. Basta prendere in mano il dizionario e scorrere alla lettera B: lì si troverà anche il termine brugola, definito “Chiave maschio, di forma esagonale, per viti con testa cava: chiave a b.; vite a brugola, dal nome dell’inventore E. Brugola”.

Quello di colui che per primo in Italia commercializzò un piccolo, geniale, robusto oggetto: Egidio Brugola, che nel 1926 fondò l’azienda OEB (Officine Egidio Brugola) cominciando la produzione in serie di viti. Nel 1946 ottenne il brevetto della Vite Cava Esagonale con gambo a Torciglione, conosciuta ormai in Italia e in Europa come “brugola”. Nel 1959, dopo la sua scomparsa, OEB comincia la produzione di viti critiche per il settore automobilistico, diventando fornitore unico delle viti testata motore per il gruppo Volkswagen e introducendo la filosofia del Difetto Zero. Sull’onda del boom economico, l’azienda gode di una forte fase di espansione che si verifica sotto la guida di Giannantonio Brugola, figlio di Egidio, che nel 1964 prende le redini dell’azienda diventando Presidente. La continua crescita e innovazione si mantiene con la terza generazione rappresentata da Jody Brugola, figlio di Giannantonio scomparso nel 2015. Sotto la sua guida, la OEB vive una continua crescita e innovazione, superando anche le difficoltà del periodo storico legato al covid e arrivando al momento attuale con una produzione di prodotti speciali per il mondo automotive (anche elettrico), un fatturato di 176 milioni di euro nel 2022 e una serie di importanti progetti per la sostenibilità con l’obiettivo di diventare Carbon Neutral. Anche in seguito all’internazionalizzazione nel 2015 con l’inaugurazione della sede negli Stati Uniti, Brugola ha perseguito l’importante obiettivo di mantenere il territorio italiano come punto di riferimento per la produzione, lo sviluppo e le competenze. Le fasi di progettazione di tutti i prodotti sono realizzate completamente in Italia e ancora oggi l’intera catena di produzione avviene negli stabilimenti del polo di Lissone e dintorni, mantenendo così anche una forte attenzione non solo alla Nazione, ma anche al territorio locale di origine. È alto, infatti, l’impegno di Brugola nei confronti della propria città che viene sostenuta con attività e iniziative a favore del benessere dei cittadini. Attualmente l’azienda produce oltre 800 tipi differenti di viti, 9 milioni di pezzi vengono stampati ogni giorno e oltre 500 dipendenti tra Italia e USA contribuiscono al successo dell’azienda, anche grazie alla Garanzia del Difetto Zero, di cui Brugola è stata la prima sostenitrice nel mondo, testando e controllando ogni singola vite e componente di fissaggio.

Per comprendere in modo più approfondito questa realtà unica, niente di meglio che sentire direttamente Jody Brugola, che questa storia la conosce meglio di chiunque altro.

D. Che cosa si prova ad avere il nome di famiglia nel nome del prodotto? Non sono molte le aziende al mondo che possono vantare questa peculiarità, questo orgoglio da tre generazioni.

R. Per me sempre stata croce e delizia, perché da un lato è una cosa molto affascinante il fatto di sapere che il cognome che portavi aveva a che fare con la chiave e la vite a brugola; invece, a scuola poteva succedere che qualcuno di prendesse in giro. Mio padre mi ha sempre detto che dovevo essere orgoglioso del cognome che portavo; e io lo sono: uno dei miei obiettivi in questi anni è sempre stato quello di riuscire a raccontare che il nome “brugola” deriva da chi aveva inventato la vite a brugola, cioè mio nonno; il risultato in termini di comunicazione è che molte persone hanno scoperto che l'inventore era appunto mio nonno Egidio Brugola. Da parte mia c'è sicuramente grande orgoglio e grande senso di responsabilità del fatto di non portare solamente il cognome ma di portare una storia che si può leggere anche nel libro che ho scritto: vedere le tante cose che hanno fatto mio nonno e mio padre per la comunità e in generale per l'Italia, nel nostro piccolo, in Brianza e non solo.

D. Una notorietà che va al di là del campo strettamente tecnico: anche le persone comuni, quando dici “brugola” sanno di cosa si tratta.

R. Una cosa che è più legata all'Italia, perché ad esempio, anche se non è esattamente la stessa cosa, questa vite in America si chiama Allen e in Germania si chiama Inbus.

D. Questo comparto industriale mi sembra frutto di un Genius loci che appartiene a questa zona. Ma come mai è nata qui questa competenza specifica? Un fatto che è tipico dell'Italia: ci sono dei luoghi che sanno fare delle cose specifiche e in questa zona il fissare con le viti è diventato un vanto a livello internazionale.

R. Qui ci sono tre delle più grandi viterie che si possono trovare a livello mondiale. Forse perché in questa zona ci sono sempre stati comunque dei geni, degli appassionati sopraffini in grado di sviluppare una genialità, un modo molto artigianale, molto sapiente della conoscenza. Queste tre aziende nel campo della viteria sono cresciute tantissimo negli anni e hanno avuto poi l'intelligenza di andare all'estero e di diventare ancora più grandi, ottenendo un grande successo in Europa.

D. Al di là di chi conosce tecnicamente cosa c'è dietro un fissaggio, però, la vite è sempre stata banalizzata, anche se banale non è, come abbiamo capito visitando i suoi stabilimenti.

R. In effetti si tratta di un prodotto che è molto sottovalutato, ma questo nasce dal fatto che c'è sempre stata una grande confusione. La gente non è tenuta a saperlo, ma un conto sono i bulloni e un conto sono le viti: soprattutto per il mondo automotive devono rispettare dei parametri di sicurezza e dei parametri di qualità che si misurano in centesimi; i bulloni per le costruzioni piuttosto che per i mobili non hanno bisogno di tutta questa precisione.  Qui invece parliamo di componenti che vengono montati su automobili, che hanno certe sollecitazioni: noi siamo leader mondiali di viti cosiddette critiche per i motori, come quelli impiegate per fissare le testate. E oggi si aggiunge una componentistica speciale, ancora più difficile da produrre e molto più pregiata rispetto alle viti critiche.

D. Dopo un periodo insieme a compagni di strada forse un po’ ingombranti, è tornato da solo alla guida della sua azienda. Qual è la molla che l’ha spinta?

R. Mi ha spinto il fatto che ero figlio unico e vedevo che la salute di mio padre stava peggiorando. C’è sempre stato un senso di responsabilità; e poi, sa, nella vita ci sono anche degli incastri e alle volte basta un niente e si prende una strada piuttosto che un'altra. Poi c'è stata la crisi del 2008/2009, che ha peggiorato la situazione dell'azienda e ci ha messo in grande difficoltà: se fino a pochi mesi prima eravamo visti come un'azienda di quelle che crescevano di più e meglio; tuttavia, eravamo troppo esposti a breve e le banche ci sono saltate addosso. Nel 2009 si è creato una specie di caos e di follia da parte di molti istituti bancari che non credevano più nell'automotive, cosa abbastanza incredibile perché questo settore rappresenta un terzo dell'economia tra acciaio gomma vetro. Insomma, c'era da rimettere a posto le cose. Nel 2011/2012, di fronte al fatto che c'erano somme importanti da dover ripagare alle banche, ho capito che era arrivato il momento di cominciare una rivoluzione che sapevo sarebbe stata pesantissima. Abbiamo fatto in tre anni operazioni straordinarie, siamo usciti all'articolo 67 e abbiamo cominciato a lavorare con un fondo di investimento. Devo dire che la finanza, se è uno strumento leale di supporto alle aziende può essere importante, ma se guarda solo i numeri e non consente alle aziende di poter investire per poter crescere, secondo me non va bene. I numeri possono voler dire tutto o niente: bisogna dare una prospettiva a 5/10 anni, non si può solamente pensare a quanto guadagna oggi. Io non guardo mai con un raggio d'azione che riguarda uno o due anni, ma sempre molto più in là e molto all'Europa, a chi mi sta di fianco, a capire come si sta muovendo il mondo, che sta tornando a essere locale. Produzioni locali, banche locali che conoscono imprenditori che possono reagire, che servono le persone che conoscono: così si può garantire che si possa fare impresa.

D. Gli automatismi di Basilea 1, 2 e 3, insomma, sono stati dei disastri.

R. Assolutamente, perché diventano troppo stringenti e alla fine che cosa succede? Che i prestiti vanno sempre soliti noti. Non tutti possono essere i campioni del mondo: bisogna aiutare anche chi magari può migliorare; mettere tutti questi parametri non sempre funziona.

D. Cos'è che non ha fatto e che avrebbe voluto fare?

R. L’attore. Ma rimanendo nel mio campo imprenditoriale, negli ultimi 12/13 anni è stato fatto tutto; l'ultima cosa che mi avrebbe fatto piacere forse era vedere alcuni risultati che ancora oggi si fa un po’ di fatica a raggiungere, perché il mercato purtroppo è stato un po’ difficile. E poi trovare due o tre persone in più dal punto di vista tecnico e di gestione, competenti e capaci, che ci potessero dare una mano: si fa molta fatica a trovare certe persone che hanno una marcia in più, sveglie e rapide.

D. I pessimisti dicono sempre che le società devono avere soci in numero dispari minori di tre: è così anche per lei?

R. Assolutamente. Io credo che, se sei un decisionista, che si prende dei rischi e decide in fretta, è difficile che tu possa avere dei soci. Ma attenzione: l’imprenditore intelligente è quello che si confronta con le persone più intelligenti che ha al suo fianco e che conosce; che chiede dei pareri.

D. Ma alla fine decide.

R. Ma alla fine decide, avendo ascoltato tutti. Io non mi sveglio mai la mattina decidendo una cosa: io mi sveglio avendo delle idee e pensando che quella sia la strada giusta; poi però chiedo alle persone che stimo di più se questa può essere una buona idea o meno; e poi alla fine vado per la mia strada.

D. Nessuno ha la palla di cristallo, ma se lei dovesse fare una previsione, dove vede Brugola fra dieci anni?

R. Innanzitutto, che ci sia ancora (sorride). Io la vedo molto ben radicata mondo dell'automotive, nel mondo della mobilità, capace di affrontare tutto quello che viene richiesto dal mercato: viti piccole, viti per i motori, viti per piattaforme elettriche, componentistica speciale, autocarri.

D. Forse anche Avionica, visto che è un’eccellenza italiana?

R. Non credo. Entrare in mercati dove gli altri sono nettamente più avanti è difficile, molto più difficile di quello che può sembrare, perché già ottenere solo le certificazioni non è cosa da poco. Dobbiamo, secondo me, in questo momento sfruttare quelle che sono le nostre eccellenze; mio padre aveva creato delle eccellenze della produzione viti critiche per i motori, che ho portato questa azienda ad essere la più veloce nella produzione di particolari piccoli; e vogliamo specializzarci nella componentistica speciale, il che è già una sfida non indifferente; ed entrare a lavorare con i camion. Penso che già questo basti per i prossimi 5/10 anni. E cercando, e questa è la più grande sfida, di avere con noi le persone valide che riescano ancora a fare le cose che facciamo oggi. Se l'Europa non lo capisce, l'America non lo capisce, la Cina lo ha già capito. E  sarà un disastro, ma non solo per l'industria.

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